Il progetto “Vivere al sole” si pone a fianco delle persone con HIV, offre spazi di ascolto e di counselling, fornisce informazioni sui servizi territoriali e supporto di natura giuridica, sociale e psicologica. Cerca di contrastare la tendenza alla solitudine e all’auto isolamento che caratterizza spesso i vissuti di chi ha l’HIV, una malattia che ancora oggi non si può raccontare agli altri con serenità e senza generare spaesamento e stupore, se non paura e fuga.
Gli strumenti utilizzati sono quelli classici dell’incontro fisico presso una delle nostre sedi o presso le strutture ospedaliere, del tutoraggio alla pari (grazie a volontari con HIV) e del mutuo-aiuto (Gruppo Robin). Ma si stanno sperimentando, soprattutto in chiave di aggancio inziale e primi contatti, modalità che utilizzano le nuove tecnologie, la rete e gli strumenti telematici moderni, come whatsapp (Spazio Positivo).
Dentro tutto ciò rimane fondamentale l’attenzione alle dinamiche educative, al rapporto tra genitori (che sempre più spesso decidono di avere figli nonostante l’HIV) e i figli (quando nella propria storia familiare è presente l’HIV).
Contemporaneamente, riteniamo indispensabile lavorare sui contesti, cercare di cambiare la cultura, di informare, sensibilizzare e formare.
“Vivere al Sole”, slogan nato dal disegno di una bambina morta di AIDS a 9 anni, rappresenta ancora oggi il bisogno di normalità e di visibilità, la necessità vitale di calore e sicurezza, l’importanza di relazioni accoglienti e rispettose e di una società in cui sia possibile una “vita al sole” anche per chi ha l’HIV e in cui le persone imparino a proteggersi sempre meglio dal virus senza avere paura delle persone.
Apparentemente, l’impatto sociale della malattia si è ridotto notevolmente e, con esso, lo stigma e il pregiudizio che portarono a definire l’AIDS la “peste del nuovo millennio”.
In realtà, il silenzio che circonda questa malattia oggi, il silenzio “assordante” (com’è definito da Giovanni Gaiera infettivologo e antropologo impegnato da anni a fianco delle persone con HIV) non significa che le paure siano state davvero superate e con esse gli episodi di emarginazione.
È un silenzio che, da un lato, genera una scarsa percezione del rischio di contrarre l’infezione mentre, dall’altro, nasconde la reale incapacità di fare i conti con serenità con questa malattia.
Ciò genera deresponsabilizzazione diffusa, quella per cui la gente non fa il test quando ha corso un rischio, e indifferenza. Purtroppo, l’indifferenza è capace di trasformarsi ancora in paure infondate e pregiudizio quando l’HIV si fa persona in carne e ossa, davanti a noi, persona che incontriamo a scuola, al lavoro, nello sport…
Dentro queste dinamiche, va letto anche il cambiamento del progetto di “Vivere al sole” che mantiene una matrice culturale e agisce su due fronti: quello della promozione della salute e della prevenzione e quello dell’attenzione sociale ed educativa verso chi contrae l’infezione.
Va anche detto che questo “sogno” riguarda qualsiasi forma di diversità, la “battaglia” culturale che sta dentro questo progetto non vale solo per chi ha l’HIV.